Diller room – 1221 1st Ave Ste 101, Seattle, WA 98101, Stati Uniti
Philip entrò nel Diller room e si diresse verso il bancone. Tutto era andato alla perfezione, ogni test era riuscito in pieno e Klimt si era complimentato con lui. Era il capo degli sviluppatori del progetto da quasi tre anni, una posizione apparentemente meno prestigiosa di quelle raggiunte dai suoi colleghi di università, al punto che aveva dovuto giustificarsi per averla accettata, lui così dotato e considerato da tutti il migliore in assoluto. Aveva parlato di visione, della sua profonda fiducia nell’idea geniale che gli si proponeva di sviluppare, ma con il tempo ciò non era stato più necessario perché i suoi vecchi amici si erano dimenticati di lui, assorbiti dalle loro carriere e dai ritmi forsennati che tutti, nella frenetica Seattle, dovevano sobbarcarsi. Naturalmente non aveva fatto cenno all’enormità della retribuzione, come da vincolo contrattuale inderogabile, e all’obbligo di continuare a condurre uno stile di vita relativamente modesto.
Certo, aveva un bell’appartamento in un quartiere elegante di Seattle, una magnifica Jeep Grand Cherokee da novantamila dollari, e anche un cottage a Zittel’s Marina con una piccola barca a vela, ma nessuno poteva immaginare che il suo conto in banca fosse a sette zeri dopo soli tre anni. Klimt era stato generoso, ma anche tassativo: il suo profilo pubblico doveva essere quello di uno sviluppatore di software per l’IA di buon livello, ma nulla più di questo. Nessuno avrebbe mai dovuto immaginare, nemmeno lontanamente, che egli fosse in realtà il senior team manager di un progetto da miliardi di dollari. Dirigeva una squadra di sviluppatori di origine asiatica, coreani, indiani e pachistani, oltre a un bizzarro bulgaro di nome Radev, tanto geniale quanto ingestibile, incapace per questa ragione di essere un leader, che Klimt aveva voluto ad ogni costo. Radev era capace di padroneggiare inferenze complesse multistrato che risultavano ostiche anche a Philip, ma in più occasioni aveva dovuto ammettere che i suoi algoritmi avevano qualcosa di magico. Lo impressionavano soprattutto l’eleganza delle soluzioni e la profonda conoscenza di una sterminata serie di teoremi sull’IA che consentivano a Radev di scrivere codice altamente complesso e veloce.
Il suo lavoro, come quello di tutti gli altri sviluppatori, era profondamente diverso da quello di Radev, ad un livello fondamentale. Ad esempio, il software che consentiva, tracciando una curva chiusa, di isolare il campo di ripresa di una telecamera in movimento di cui fosse nota la geo posizione, faceva parte della classe di problemi di cui lui stesso si occupava, e l’algoritmo fondamentale lo aveva progettato di persona superando difficoltà matematiche notevoli. In effetti la topologia dinamica era uno dei campi nei quali eccelleva. Ma tutto questo era da tempo lo stato dell’arte, mentre il campo di sviluppo e ricerca di Radev era del tutto nuovo.
Con un cenno del capo rivolto al giovane barman, uno splendido messicano la cui vista lo turbava, gli fu servito immediatamente un rhum invecchiato. Si recava in quel locale da alcune settimane ma presto lo avrebbe cambiato. Non gli piaceva frequentare troppo a lungo uno stesso posto, si finiva inevitabilmente col fare conoscenza e veniva così a mancare il vantaggio fondamentale di riflettere in solitudine. Era così da sempre, riusciva a mettere a fuoco i pensieri stando in un luogo pubblico ma senza essere riconosciuto, così aveva concepito le sue idee migliori. Quel giorno aveva bisogno di pensare, soprattutto al lavoro di Radev.
Focalizzò il contesto. Un insieme di bio drivers realizzati con nuovi materiali, grafene scrivevano su Internet – ma c’era ben altro, la cui funzione era quella di realizzare uno strato di interconnessione fra i tessuti biologici e lo strato superiore, quello che accidentalmente, in un documento, era stato definito Sistema Operativo. L’estensore del documento era stato immediatamente spostato ad altro incarico, ricordò Philip, e questo gli era dispiaciuto. Esther era una ragazza giovane, tanto bella quanto ambiziosa, che gli sarebbe piaciuto conoscere meglio, ma quell’errore di comunicazione, seppure in buona fede, era stato grave. I cosiddetti complottisti si erano avventati su quell’espressione, che era perfettamente aderente alla realtà, riuscendo a seminare molti sospetti nell’opinione pubblica. Dunque un Sistema Operativo, e anche questo faceva parte del suo lavoro. Si trattava di realizzare delle primitive API che, interpretando un segnale elettromagnetico in alta frequenza, modificassero la struttura, conseguentemente il comportamento fisico, dello strato di bio drivers, facendo assumere al grafene et alii topologie differenti, il cui effetto principale doveva consistere nel farli funzionare come sensori, attuatori o amplificatori. I segnali elettromagnetici che modificavano la struttura del grafene et alii dovevano essere analogici, per cui nello strato del Sistema Operativo era presente anche uno stadio di conversione digitale/analogico e analogico/digitale, nonché di modulazione/demodulazione. Il blocco di modulazione, per il momento, non era utilizzato, tutto sarebbe dipeso dal successo nello sviluppo del Body Power Extraction System, per cui se ciò non fosse avvenuto il ripiego sarebbe stato l’uso di chip sottocutanei, con batteria di potenza incorporata a lunga durata. Le analisi sull’accettabilità da parte del pubblico dei chip sottocutanei venivano svolte soprattutto in Svezia, con la collaborazione di un importante gruppo di telefonia mobile che, da anni, si trovava in difficoltà, e contava su quella tecnologia per tornare in auge.
Radev lavorava sul terzo strato, che al momento poteva essere considerato quello applicativo. Gli studi sulla fisiologia dei tessuti, del cervello ma non solo, avevano ampiamente dimostrato la possibilità di modificare la dinamica delle reazioni biochimiche utilizzando segnali in frequenza, ma la difficoltà maggiore restava quella di comprendere la grammatica e la sintassi di questa interazione. Una volta comprese grammatica e sintassi si sarebbe potuto passare al livello semantico, cioè alla possibilità vera e propria di inviare segnali di comando comportamentali. Ebbene, il lavoro di Radev consisteva nell’utilizzare quel poco di grammatica e sintassi che già si conoscevano per realizzare le prime applicazioni, come quelle che erano state testate quel giorno. Quanto alla conoscenza completa, o almeno più approfondita, del dizionario di controllo, dunque dell’insieme di grammatica e sintassi, era ancora necessaria una enorme quantità di osservazioni, per ottenere le quali l’occasione della pandemia stava funzionando ottimamente. Era Klimt che si interfacciava, nel ruolo di utilizzatore, con i progressi in quest’ultimo campo, i cui risultati passava a Radev. Un giorno erano usciti insieme e aveva parlato con lui. Radev gli aveva fatto un esempio che lo aveva colpito. Gli aveva detto “immagina di conoscere solo 50 parole di una nuova lingua, e di doverti esprime con queste, e solo con queste, in un contesto qualsiasi. Hai solo la possibilità di studiare la reazione dell’interlocutore alle parole che usi, e imparare da questo. Ebbene, il mio lavoro consiste pressappoco nell’inviare dei comandi utilizzando un piccolo insieme di segnali, pensa ad ognuno di essi come a una parola, e nell’osservare la risposta dell’organismo target, imparando tentativo dopo tentativo”. La dimostrazione di quel giorno aveva provato che qualche risultato era stato raggiunto, sostanzialmente la possibilità di indurre stati emotivi elementari come l’ira e l’eccitazione, ma si puntava molto più in alto. Un paio di anni prima Klimt li aveva convocati per esporre l’idea di utilizzare opportunisticamente la pandemia, che avrebbe offerto la possibilità di aumentare di molti ordini di grandezza la platea dei soggetti sottoposti a sperimentazione. Sarebbe stata una replica in grande del progetto Genoma, quando erano stati utilizzati centinaia di super computer per sequenziare in parallelo il DNA umano.
Il sospetto che il vero scopo della pandemia potesse essere quello gli era sorto fin dall’inizio, ma Klimt era stato irremovibile nel sostenere che il loro era soltanto un comportamento opportunistico, e che i vaccini avessero effettivamente il fine di curare i malati. Che c’era di male nell’aggiungere ad alcune fiale anche dei nanomateriali ben tollerati dall’organismo umano? Philip si era lasciato convincere, anche per via del sostanzioso aumento di stipendio che Klimt gli aveva proposto. Ma anche, cominciava a capirlo, dal fatto che al punto in cui era arrivato non poteva più tirarsi indietro. Aveva però cominciato ad essere più prudente, soprattutto mostrandosi sempre più sottomesso a Klimt, e suo entusiasta esecutore per conquistarne completamente la fiducia. Aveva anche cominciato a studiarlo sotto il profilo psicologico, giungendo presto alla conclusione che si trattava di un individuo con un così enorme complesso di superiorità da non considerare neanche la possibilità che un suo sottoposto potesse coltivare scrupoli morali. Per Klimt esistevano solo alleati, cioè complici dei suoi piani per la conquista incessante di potere, e nemici che volevano fargli le scarpe; tutti gli altri esseri umani, quelli che non partecipavano al gioco del potere, non contavano, se non nella misura in cui gli erano utili, o costituivano ostacoli da eliminare.
Aveva anche capito che Klimt era ancora lontano dal vertice del potere, che era in fondo anch’egli un subordinato, a dispetto dei segnali che spargeva continuamente per lasciar intendere di essere nel cerchio di quelli che contano veramente, che prendono le decisioni. L’uso opportunistico della pandemia, ad esempio, non era stata una sua idea ma un ordine che aveva dovuto eseguire, men che mai poteva far parte di coloro che, eventualmente, l’avevano programmata per chissà quali scopi, che a Philip ancora sfuggivano. A tutti era stato fornito un certificato di avvenuta vaccinazione che veniva periodicamente aggiornato, con la spiegazione che il personale di alto livello impiegato in progetti strategici per la sicurezza nazionale aveva l’obbligo di esenzione, oltre al divieto di farne cenno con alcuno. Col passare del tempo, in alcune riunioni plenarie del team di sviluppo, erano state fornite spiegazioni nelle quali si era parlato di un nuovo progetto Manhattan nell’ambito di una nuova competizione globale, questa volta con la Cina, facendo appello al loro patriottismo e alla loro professionalità per il mantenimento della necessaria discrezione. Ma, a parte lui, nessuno del team di sviluppo aveva un quadro complessivo di ciò su cui stavano lavorando, anche se aveva molti dubbi su Radev.
Stava per ordinare un secondo rhum quando sull’ingresso fece capolino proprio Radev.
Longhaven
La votazione fu un atto formale, ma anche un momento di relax per quel gruppo di vecchietti che si riunivano da tempo. L’arrivo di nuovi apprendisti era vissuto con spirito goliardico, come prevedeva la tradizione, e non mancavano occasioni per scherzi bonari ai danni di giovani che, nel migliore dei casi, non avevano meno di cinquant’anni. L’Orso e l’Astrologo erano stati scelti dal Decano al momento del suo insediamento, con l’approvazione unanime del Sincilio, quando il suo predecessore, e poco dopo anche il povero Corvo, erano passati a miglior vita. La carica era onorifica e spettava al più anziano. Anche la Fata e la Coccinella, anziane quasi quanto il Decano, non avevano sollevato obiezioni, a conferma del fatto che i due giovani apprendisti godevano della massima considerazione. Si trattava, in effetti, di due uomini di grande valore, che avevano saputo guidare con sapiente equilibrio alcuni passaggi delicati; ad esempio quando, insieme, avevano gestito la crisi della Banca Centrale Europea improvvidamente consegnata, dal Decano dell’epoca, nelle mani di un ambizioso fratello italiano di modesta caratura.
“Facciamoli tornare” propose la Coccinella, e si alzò per avvicinarsi alla cordicella che azionava la campanella che risuonò nella camera attigua. Orso e Astrologo rientrarono e ripresero il loro posto vicino al camino. La Fata batté le mani e con voce allegra esclamò “avanti ragazzi, pendiamo dalle vostre labbra”. Fu l’orso a raccogliere l’invito.
“Fraterni amici, innanzi tutto vi ringrazio, anche a nome dell’Astrologo, per l’onore di prendere la parola al Sincilio prima della fine del nostro silenzio rituale. È un onore purtroppo determinato dal momento eccezionale che stiamo vivendo, e avremmo preferito di gran lunga che non vi fossero deroghe alle nostre consuetudini. Ma permettetemi di venire al dunque. Il cuore del problema è costituito dal fatto che, sebbene tutte le organizzazioni che ognuno di noi rappresenta siano formalmente vincolate all’obbedienza ad ogni nostra deliberazione, vi è la concreta possibilità che possa ripetersi quanto è già accaduto in passato, ovvero che ad alcuni di noi venga ritirata la delega assoluta e che alcune di esse decidano di muoversi in autonomia. La nostra sola forza è il prestigio del Sincilio, riconosciuto per la secolare saggezza e lungimiranza delle decisioni che ha sempre assunto, al punto che la nostra parola ha finito, col passare dei secoli, con l’avere valore di legge. Anche quando, in due sole occasioni, le indicazioni del Sincilio non sono state accettate, la forza dei fatti ci ha dato presto ragione, sia pure al prezzo di grandi disastri per il rifiuto di seguire le nostre indicazioni. Resta il fatto, però, che la nostra forza è solo di ordine morale, che tutto ciò che ha inizio deve finire, e che oggi siamo di fronte a quella che abbiamo cominciato a chiamare la terza crisi, la quale si annuncia talmente grave da farci dubitare che non sia giunta l’ora nella quale il sistema di governo del mondo, incentrato sull’autorità morale riconosciuta al Sincilio, possa volgere al termine. Basterebbe che anche una sola delle organizzazioni che simbolicamente rappresentiamo, senza per questo avere alcun potere su di esse, si rifiutasse di accettare la nostra deliberazione, e il vaso di Pandora sarebbe riaperto. Se ci chiediamo perché un sistema di governo che, per tanto tempo, ha guidato il mondo con spirito di concretezza, acconsentendo all’esplodere di conflitti quando questi erano necessari o imponendo la pace quando i rischi erano eccessivi, possa essere a cuor leggero distrutto in un attimo, la risposta è una sola: la posta in gioco, questa volta, è eccezionale. Lo è a motivo del fatto che chi vincerà la competizione avrà un tale vantaggio su tutti gli altri, anche messi insieme, da poter segnare, questa volta per davvero, la fine della storia. Allorché in passato abbiamo autorizzato lo scatenarsi di conflitti sapevamo che il vincitore, chiunque fosse stato, avrebbe conquistato un vantaggio relativo, non tale da essere frenato dal sorgere di una nuova coalizione di interessi contrapposti. E così, spesso autorizzando i conflitti, più raramente ma a ragion veduta vietandoli, anche al prezzo di lasciar accumulare le tensioni, il peggio è stato evitato pur senza riuscire ad assicurare sempre la pace, obiettivo questo concretamente impossibile.”.
Il Decano, con un cenno del capo, chiese la parola. “Hai ben detto fratello Orso, e voglio ricordare il più grande successo del Sincilio nel secolo scorso, quando siamo riusciti a convincere gli Stati Uniti, che pure avevano tra le mani l’arma fine della storia, a rinunciare a usarla in cambio del nostro assenso a un conflitto di natura diversa, la guerra fredda, che ha incoronato vincitore lo stesso che, accettando la nostra deliberazione, ha risparmiato enormi distruzioni. Obiettivo raggiunto, quindi, con metodi ragionevoli; ma ti prego continua.”.
“Grazie Decano. Ora il punto è che il progresso tecnico-scientifico ha prodotto una nuova tecnologia, sinotticamente la chiamiamo Intelligenza Artificiale essendo essa costituita da un ampio insieme di strumenti che spaziano in campi diversi della conoscenza umana, che ha sostanzialmente tre caratteristiche: la sua enorme potenza, il fatto che non garantisca la distruzione fisica reciproca dei contendenti come l’arma nucleare, e infine che il vincitore diverrebbe il padrone assoluto del mondo. Dunque una guerra è possibile, non sarà una guerra distruttiva, chi vince prende il banco. Con il che, davanti alla prospettiva di una perdita assoluta, le parti soccombenti potrebbero essere tentate di ricorrere all’arma nucleare, ammesso che sia loro ancora possibile. Infine, e questo è un elemento di ulteriore grave preoccupazione, la tentazione per la posta in gioco è tale da svuotare dall’interno l’autorità del Sincilio. Il fatto è che il Sincilio, sebbene non abbia mai sbagliato – e questo è il solo fondamento della nostra residua autorità – non per questo è percepito come infallibile, giustamente aggiungo a titolo personale. Ma se il Sincilio può sbagliare, la posta in gioco è altissima e la partita è mortale, ecco che l’ordine del mondo di cui siamo i garanti rischia di collassare.”.
L’Orso tacque mentre un grave silenzio pervadeva l’ampia sala. Il discorso non era evidentemente giunto a conclusione. Fu l’Astrologo a riprendere l’esposizione: “Una complicazione ulteriore è determinata dal fatto che non sono più solo gli stati, che ancora riconoscono il nostro ruolo, i protagonisti del momento storico; altre organizzazioni non statuali, non per questo meno importanti, sono in gioco, ma nessuna di loro è direttamente coinvolta nel sistema di garanzie reciproche incastonate nel Sincilio, al massimo lo sono in maniera indiretta attraverso i loro stati di pertinenza; più spesso, nei fatti, agiscono in piena autonomia. Sono centri di potere che, sebbene abbiano una relativamente limitata capacità normativa, hanno velocemente aumentato la loro influenza come conseguenza della proliferazione delle agenzie sovranazionali investite di crescenti competenze regolatorie. Dunque, non solo l’autorità del Sincilio non è più certa presso gli Stati, ma anche questi ultimi sono sempre più condizionati dalle decisioni delle agenzie sovranazionali che rispondono a sé stesse o, meglio, a chiunque abbia potere di influenza, tra i quali i grandi potentati non statuali, i cosiddetti stakeholders. L’ordine del mondo è compromesso, ma questa non è una buona notizia come sarebbe apparsa al fratello Mao, quando l’ordine c’era e lui aveva il solo problema di riconquistare un posto d’onore per il suo paese.”.
Il Decano intervenne prontamente. “Fratello Astrologo, sei perdonato perché sei ancora un apprendista, ma devo ricordarti che non è usanza, tra noi, usare i veri nomi! Ognuno ha un soprannome, nel proseguire attieniti a questa regola. Ti revoco per cinque minuti l’esenzione al silenzio dell’apprendista e passo la parola all’Orso. Tanto lo so che avete da dire le stesse cose, birbanti”.
L’Orso riprese a parlare. “Il punto di svolta è stato la nascita delle criptomonete, frutto del genio di Satoshi Nakamoto, di cui si sono perse le tracce. Come ben sapete, alla base di qualsiasi criptomoneta vi è un software di non particolare complessità, nemmeno paragonabile ad esempio a quella necessaria per il riconoscimento facciale o vocale; la genialità risiedeva esclusivamente nell’idea di far lavorare insieme due tecnologie da tempo mature – la criptazione dei dati e le tecniche di replicazione di database distribuiti – poste al servizio di una sfida matematica consistente nel trovare le soluzioni di una classe di equazioni che godono della proprietà di averne infinite, la cui ricerca richiede crescenti potenze di calcolo man mano che vengono scoperte. Il collegamento con il mondo dei beni reali avvenne nel 2010 quando Laszlo Hanyecz, che faceva parte del primo gruppo di sviluppatori, riuscì a concordare l’acquisto di due pizze al costo di 10k bitcoins per un controvalore di 41 dollari, che stabilirono la prima quotazione del bitcoin al valore di 0,0041 dollari. Sette anni dopo la quotazione raggiunse il valore di 16k dollari, per poi iniziare una lenta discesa fino al minimo di 5,6k dollari a inizio marzo 2020; da allora la quotazione è risalita velocemente fino a superare quota 50k a inizio 2021, e ancora prosegue nella sua corsa. Ma non è certo il bitcoin, questa riedizione del bulbo di tulipano, che ci preoccupa, come pure le numerose altre criptomonete note, bensì l’esistenza di quelle nascoste al grande pubblico il cui valore non è legato alla ricerca delle soluzioni matematiche di una classe di equazioni, ma ai flussi finanziari di attività sottratte ad ogni controllo legale. In questo caso è il valore di questi flussi finanziari il sottostante che regola il valore della criptomoneta, mentre il diritto di proprietà su ogni quota degli stessi è garantito contrattualmente da scritture registrate in una blockchain privata, il cui valore viene computato attraverso unità di misura fissate arbitrariamente. Ad esempio, il gruppo Monkey Rock ha dato vita ad una sua criptomoneta, inizialmente basata su un sottostante di 240 mld di dollari di flussi annuali finanziari illegali, suddivisi in 1 mln di quote chiamate MIR, il cui valore era dunque 240k dollari per quota. I Mir furono ripartiti tra i circa duemila azionisti del gruppo in proporzione alle loro partecipazioni. Oggi il valore complessivo delle quote è più che raddoppiato ma, e questo è quello che ci interessa, è assolutamente impossibile per chiunque conoscere e tracciare le transazioni all’interno di questo gruppo, che possiamo tranquillamente definire un proto Stato finanziario privato. Credo che sia ora il momento restituire la parola all’Astrologo.”
“Certamente” convenne la Fata, “ma prima suggerisco una breve pausa, it’s tea time.”